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Le parole per descrivere la felicità in 26 lingue

Lo psicologo Tim Lomas raccoglie termini, non traducibili, che raccontano uno stato d’animo o un’esperienza positiva in idiomi diversi: dal corano all’inuit.


Un vocabolario della felicità, in continua evoluzione. Ecco cos’è «The Positive Lexicography Project», raccolta di parole intraducibili, ideata da Tim Lomas, docente di Psicologia Positiva della University of East London. «Ho cercato i vocaboli online, su siti, blog e tra i paper accademici — racconta a “la Lettura” —. Le persone, inoltre, mi inviano suggerimenti per sottopormi termini nuovi». I quali entrano a far parte del vocabolario a due condizioni: non devono avere un equivalente in inglese e devono descrivere esperienze, stati d’animo e tratti personali positivi. 

«Non utilizzo criteri stringenti — continua Lomas — perché parte del progetto è proprio esplorare cosa è il benessere umano in tutto il mondo. Trovo quindi suggestivo includere parole indirettamente collegate all’ambito della percezione e dell’emotività». Tra cui, ad esempio, «chiaroscuro», inteso come esperienza estetica, una versione visiva dello«yin» e «yang». Seicento sono i vocaboli raccolti finora e organizzati in tre categorie: sentimenti, relazioni interpersonali e carattere umano. Ventisei, invece, sono le parole selezionate per «la Lettura». Per provare a descrivere una sfumatura in più dell’animo umano

Agape

(Amore incondizionato, disinteressato e smisurato. Greco). Tre sono i tipi di amore in greco: eros, legato all’attrazione fisica; philos, sentimento fraterno e di profonda condivisione e, appunto, agape. Il vertice più alto dell’amore, provato da chi dona tutto se stesso senza pretendere nulla in cambio. Come Gesù: nella tradizione cristiana, infatti, il termine indica l’amore di Dio per gli uomini.
             
Balikwas

(Saltare improvvisamente in un’altra situazione e sentirsi sorpreso. Tagalog). Scrive in Balikwas: How to Emigrate to The Philippines Chris Payne, ex professore della University of Maryland emigrato a Tanauan, nelle Filippine: «Il termine significa saltare dall’altra parte, sentirsi sorpresi per una nuova situazione ma anche andare contro corrente». Ossia: abbandonare la propria zona di comfort. Come fanno i visionari, spiega Hal Gregersen del Mit, che dubitano delle certezze, cambiano situazioni, raggiungono risultati sorprendenti.

Chrysalism

(Amniotica tranquillità di essere in casa durante la tempesta. Inglese, neologismo). È una delle parole ideate dal designer John Koenig e raccolte in The Dictionary of Obscure Sorrows. L’autore immagina termini nuovi con l’obiettivo di colmare un vuoto linguistico e attribuire un nome alle emozioni difficili da descrivere. Chrysalism viene da crisalide e vuole rendere l’idea di sentirsi protetti, come in uno stato embrionale.

Dadirri

(Atto di profondo e riflessivo ascolto. Ngangiwumirr, lingua aborigena). «Dadirri è dare voce alla primavera dentro di noi», ha detto Miriam-Rose Ungunmerr Bauman, attivista e artista aborigena. «Quando vivo una esperienza dadirri torno a essere completa. Anche se qualcuno caro se ne è andato posso ritrovare così la mia pace». Perché dadirri, spiega Judy Atkinson della Southern Cross University, è un metodo di cura, una pratica per superare traumi e dolore.

Engentar

(Desiderare di stare soli, ricercare una serena solitudine. Spagnolo). Parola diffusa in Messico, indica il desiderio di allontanarsi dagli altri gioendo della propria solitudine. E per chi non sa stare engentado, esiste una guida, How to Do Nothing with Nobody All Alone by Yourself di Robert Paul Smith, che spiega tutto in una frase di commiato: «Mi scusi, ho un appuntamento con me stesso per sedermi a guardare l’erba che cresce».

Fargin

(Orgoglio e sincera felicità per il successo di qualcun altro. Yiddish). L’opposto dell’invidia. Ma attenzione, ammonisce Michael Wex, scrittore canadese: il fargin è raro e, avendone l’occasione, pochi lo provano. Come racconta in Born to Kvetch: «Un angelo appare a un uomo. “È il tuo giorno fortunato — gli dice — puoi avere tutto quello che desideri, in quantità illimitata, ma il tuo vicino ne riceverà il doppio”. È esasperante, pensa l’uomo. Poi ha un’idea e dice: “Voglio perdere la vista da un occhio”».

Gumusservi

(Il riflesso della luna sull’acqua. Turco). Termine evocativo che Yee-Lum Mak ha inserito nel blog di parole stravaganti «OtherWordly», da cui è nato l’omonimo libro. Grazie al suo potenziale estetico Gumusservi è parola nota anche a chi non parla turco: è un hashtag sui social e anche il titolo di un brano. Malinconico, ovvio. E romantico insieme.

Hygge

(Senso di calore, atmosfera accogliente e amichevole. Danese). Nella classifica 2016 delle parole dell’anno dell’Oxford Dictionaries è finita anche hygge. Termine di moda, ma non nuovo. Tanto che nel 1957 Robert Shaplen sul «New Yorker» ha scritto che l’hygge è dovunque a Copenaghen. «Provo a rendere la mia casa hygge», dice Lomas. La stagione più hygge? L’inverno. Perché, ha scritto Helen Russell in The Year of Living Danishlyhygge è una tazza di tè caldo o un paio di calzini di cashmere. Mondadori ha appena pubblicato in Italia Hygge. La via danese alla felicità di Meik Wiking.

Iktsuarpok

(Quando si aspetta qualcuno e non si riesce a smettere di controllare se sta arrivando. Inuit). Tiffany Watt Smith della Queen Mary University non ha dubbi: iktsuarpok è una sensazione che proviamo tutti, tanto da meritare un posto nel suo The Book of Human Emotions dedicato ai sentimenti più comuni. Per la studiosa la nostra tentazione di controllare ripetutamente la casella email non sarebbe altro che una versione «aggiornata» dell’iktsuarpok. «Non è colpa della tecnologia — spiega — ma del nostro desiderio di contatto in un mondo sempre più isolato».

Jugaad

(Trovare soluzioni innovative, improvvisate e geniali, utilizzando quello che si ha. Hindi). È l’arte del life hacking, la capacità di trovare soluzioni creative, frugali e inaspettate. Proprio come spiega il libro Jugaad Innovation. I due autori, Navi Radjou e Jaideep Prabhu (Cambridge Judge Business School), lo spiegano così: jugaad è una rivoluzione culturale, l’innovazione dal basso, diffusa nei Paesi emergenti. Senza grandi investimenti.

Kanyirninpa

(Abbraccio protettivo e salutare. Pintupi). Per il popolo Pintupi l’abbraccio non trasmette solo affetto, ma infonde salute fisica e mentale. Ha scritto Brian McCoy, studioso di tradizioni aborigene, in Holding Men: «Kanyirninpa è la protezione della famiglia verso un nuovo nato. Per gli adulti il significato cambia: non cercano più l’abbraccio della madre ma quello degli altri uomini. Così i più anziani introducono i giovani all’età adulta».

Lagom

(La giusta misura, né troppo né troppo poco. Svedese). Il lagom è lo spirito della Svezia, dove tutto è misurato, dai temporali al design. «Il termine ha molte applicazioni — scrive Meg, autrice del blog “Something Swedish” — e rappresenta l’ideale sociale e culturale svedese di uguaglianza e libertà». L’origine? Dalla locuzione laget om usata dai vichinghi per indicare l’esatta quantità di idromele che si può bere dal corno prima di passarlo ai compagni.

Mepak

(Il piacere delle piccole cose. Serbo). La felicità? Non dipende dai grandi avvenimenti della vita ma dalle piccole esperienze. Lo spiega il termine mepak e lo conferma l’indagine Little Things in Life Make Us Happiest, in cui Glenn Williams, della Nottingham Trent University, dichiara: «I piccoli piaceri ci aiutano a costruire vite più significative». Qualche esempio di mepak? La ricerca ne cita molti: mangiare cioccolata, stendersi su lenzuola pulite, prenotare un viaggio.

Nunchi

(Capacità di interpretare gli sguardi e di leggere le emozioni altrui. Coreano). Si legge sul blog dell’ambasciata coreana in Canada: «Per un canadese sì significa sì e no vuol dire no. In Corea, invece, sì può significare: è una buona idea ma so che il mio capo non l’approverà e poiché non voglio farti preoccupare preferisco dire sì». Per capire l’interlocutore è necessario leggere il linguaggio non verbale. Ossia sviluppare il nunchi. Come? Osservando: uno sguardo laterale o un respiro profondo dicono molto più di una parola.

Orenda

(Il potere di cambiare il mondo a dispetto di un destino avverso. Urone). Per l’Oxford Dictionariesorenda è il potere magico che i nativi americani Iroquois credono pervada tutta la natura sotto forma di energia spirituale. È la forza dei temporali e del vento ma anche il potere miracoloso che solo alcuni uomini possono esercitare. Gli sciamani, per esempio. Orenda, però, è anche una benedizione: permette a chi ne è dotato di sfidare gli eventi avversi e superarli.

Passeggiata

(Camminata piacevole, tranquilla e rilassata. Italiano). «Non avevo mai sentito la parola finché non sono stato in Italia. Qui — dice Lomas — ho capito il piacere che ne deriva. La passeggiata come il cibo fa parte dell’immagine del Paese». Ne è convinta anche Diane Hales autrice di La Bella Lingua: «All’imbrunire — scrive — qualcosa sembra attirare le persone fuori da case e uffici per partecipare alla passeggiata». Segna la fine del lavoro, a vedere e a farsi vedere — spiega. Indossando, magari, gli abiti appropriati.

Queesting

(Accogliere l’amante nel proprio letto per chiacchierare. Olandese). Il termine, in pieno revival su internet, ha una storica tradizione, descritta dal medico statunitense Henry Reed Stiles nel 1871 in Bundling: its origin, progress and decline in America. La donna, spiega, lasciava di notte le porte della propria camera aperte nell’attesa che l’amante entrasse e le parlasse. Lo faceva per conquistarlo e con il pieno consenso dei familiari.

Ramé

(Caotico e gioioso insieme. Balinese). Qualcosa ramé a Bali? Il gamelan. Si tratta di un’orchestra composta da numerosi strumenti, tra cui tamburi, gong, xilofoni, flauti di bambù e strumenti a corda. La musica prodotta è complessa e articolata, con melodie sovrapposte e più linee ritmiche suonate insieme. Il risultato? Caotico, allegro, vitale. In una parola: ramé.

Samar

(Sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto. Arabo). «Samar — dice Lomas — racconta in una sola parola un’intera cultura». E una tradizione antica nel tempo. L’ha descritta il teologo Kenneth E. Bailey su «Themelios», rivista di studi religiosi: gli abitanti dei villaggi si incontrano la sera per raccontare storie e declamare poesie. L’atmosfera è informale e chiunque può partecipare anche se a parlare sono di solito gli individui più in vista. E i più anziani: uomini in grado di tramandare la tradizione orale della comunità.

Tithadesh

(È l’augurio che si rivolge a chi ha acquisito qualcosa di nuovo. Ebraico). Un’auto nuova? Tithadesh! Il termine, allegro, ha però un retrogusto amaro, rivelando l’attaccamento alle cose materiali, come ha spiegato con una storia David Frishman. Il figlio di un povero sarto, ha scritto, si lamenta con il padre che realizza abiti nuovi per i ricchi ma non può permettersi di regalargliene uno. Nessuno, così, in sinagoga gli rivolge tithadesh. Un giorno, però, lo riceve: per il suo funerale. Indossa un abito luccicante per l’occasione ma ha perso quello che conta: la vita.

Ubuntu

(Umanità verso gli altri, sentirsi parte di una grande comunità. Bantu). Sono chi sono in virtù di ciò che tutti siamo. Ecco l’etica ubuntu che ha ispirato anche il nome e la filosofia dell’omonimo sistema operativo basato su Linux, con l’obiettivo di portare l’idea di condivisione anche nel mondo software. Chi ha l’ubuntu, infatti, non può perseguire solo il vantaggio personale. Lo ha spiegato l’attivista e arcivescovo sudafricano Desmond Tutu: «Una persona con l’ubuntu è aperta e disponibile. Quando fai del bene si diffonde, è per tutta l’umanità»

Vorfreude

(La gioia che deriva dall’immaginare piaceri futuri. Tedesco)Vorfreude è «il sabato del villaggio», il piacere di pregustare la festa. Rivela allegria e una sottile apprensione. «Le parole possono essere polivalenti — spiega Lomas —. Il gusto di assaporare il futuro è combinato con la paura che non possa arrivare. Come nell’italiano magari, che significa “forse”, “nei miei desideri” o “se solo”, tenendo così insieme un augurio speranzoso e un pensieroso rammarico»

Wabi-Sabi

(Bellezza imperfetta e consumata. Giapponese). «È la capacità di apprezzare la bellezza di fenomeni vecchi o degli oggetti rotti — spiega Lomas —. Siamo costantemente incoraggiati alla ricerca del nuovo, parole come wabi-sabici permettono di percepire il mondo da un’altra prospettiva. È un termine esteticamente rilevante ma può essere utile anche per considerare la propria vita, per accettare il personale processo di invecchiamento e capire che anche lì c’è un valore».

Xibipiio

(Esperienza di un fenomeno ai limiti della percezione o della coscienza. Pirahã dell’Amazzonia). Qualcosa di simile allo Xibipiio? Il bu-bu-settete dei bambini. Lo spiega Daniel Everett, linguista, nel libro Don’t Sleep, There are Snakes: «La parola si riferisce a quella che chiamo l’esperienza della transizione, l’atto di cominciare o terminare qualcosa, di trovarsi al limite di un fenomeno. Come una fiamma tremolante, che entra e esce dalla nostra percezione».

Yuán fèn

(Relazione determinata dal destino. Cinese). La fatidica coincidenza delle relazioni: non avvengono per caso, ma dipendono dalle azioni commesse nella vita precedente. Chi si incontra, insomma, lo fa grazie a una innata connessione universale. Lo yuán fèn, scrive Kwang-Kuo Hwang della National Taiwan University, offre una prospettiva in cui inserire i sentimenti negativi, come incidenti nelle relazioni, rendendo così più facile il loro superamento.

Załatwíc

(Risolvere una situazione e sistemare le cose arrangiandosi. Polacco). Nel 1986 l’antropologa Janine Wedel in The Private Poland ha intervistato sociologi ed economisti per descrivere la società polacca, di cui, spiega, załatwíc è una delle parole chiave. E lo è stata soprattutto in passato quando, per ottenere documenti e beni si ricorreva all’aiuto di amici e parenti. Che mettevano a frutto quello che avevano: competenza, relazioni o anche solo fantasia.

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http://www.corriere.it/la-lettura/17_gennaio_22/parole-felicita-dizionario-d209e30e-e08c-11e6-a64d-bf022321506f.shtml?refresh_ce-cp

Shanghai Disneyland: attraction names make no sense when translated literally to Chinese

Bibbidi Bobbidi Boutique, other attraction names make no sense when translated literally to Chinese, so theme-park designers had to improvise.


SHANGHAI—When Qi Zhu visited Shanghai Disneyland on a day of testing before the theme park opened last week, she was confused by its slogan: “Ignite the magical dream within your heart.” When translated into Chinese, those words can easily be read as “strange dream.”

“I was like: ‘What is a strange dream?’ ” says Ms. Qi, a marketing employee at a Shanghai company. “Why would I want a strange dream in a park?”
Walt Disney Co. spent more than six years planning every detail of its new world of princesses, superheroes and swashbuckler Jack Sparrow, which has cost more than $5.5 billion and is expected to attract more than 10 million people in its first year.
It hasn’t been easy, though, to translate the Disney magic from English to Chinese. In order to make sense to local visitors and mesh with their cultural sensibilities, the names of some attractions at Shanghai Disneyland read very differently in the two languages posted on signs throughout the theme park.
Because the animated classic “Dumbo” is little-known in China, the Shanghai Disneyland ride inspired by the movie is Little Flying Elephant when written in the simplified characters used on the Chinese mainland. Shipwreck Shore, a play area for children, sounds more ominous than fun in Chinese, so it is called Ship Water Play Area instead.
The princess-themed beauty salon known as Bibbidi Bobbidi Boutique makes no sense in a literal translation to Chinese, so Disney decided to call it the Colorful Magical Fanciful Transformation. The Chinese version also has an alliterative “B” sound.
“Every time we come up with a name, we had to make sure it has a whimsical Disney feel, it resonates with Chinese people and it conveys what the experience is,” says Fangxing Pitcher, a writer for the Disney Imagineering theme-park design group. “If you just do a straight translation, all of that gets lost.”
Ms. Pitcher is one of numerous Chinese natives hired to work on Shanghai Disneyland from its earliest designs. Disney owns 43% of Shanghai Disney Resort, with the majority controlled by the local government’s Shanghai Shendi Group Co.
Disney also hired as consultants for the new park Chinese designers, cultural experts and even comedians. In Southern California, where Disney is based, the company used Chinese tourists as focus groups while in the early stages of planning Shanghai Disneyland.
The focus groups showed that instructions that seemed to make perfect sense in English sometimes didn’t register. Words that sound whimsical and inviting to Western ears were confusing or off-putting in Chinese.
For its earlier foreign theme parks in Paris and Hong Kong, Disney did much of the initial design work in English, handling translation later in the process. Disneyland Paris and Hong Kong Disneyland, which opened in 1992 and 2005, respectively, struggled at first to connect with local audiences and have had financial problems.
In Hong Kong, Chinese visitors sometimes complained that they couldn’t navigate the theme park and didn’t know what to do there.
“We’ve learned through the years it’s always a good idea to be as accessible to your guests as you can be,” says Stan Dodd, an Imagineering creative director. “I think in previous parks we may not have thought that through as specifically as we did here.”
Getting Chinese translations just right is increasingly important to Disney. China is the world’s second-largest movie box office, behind only the U.S. “Frozen,” the most successful animated motion picture ever, is loosely translated as “Enchanted Destiny of Snow.” Disney park designers borrowed the name and song translations for a singalong show at Shanghai Disneyland.
Still, many Chinese names for attractions at the new theme park had to include literal descriptions because the movie references that work for Americans fly right over the heads of visitors here.
Tron Lightcycle Power Run probably doesn’t mean much to anyone who didn’t see the 1982 science-fiction movie “Tron” or its 2010 sequel, “Tron: Legacy,” featuring neon-colored electronic motorcycles.
In Chinese, though, Superfast Speed Light Cycle gets across the point of the thrill ride loud and clear.
Roaring Rapids doesn’t quite sound like an adrenaline-charged adventure when translated literally to Chinese, which is why it is called Roaring Mountain Rafting Journey.
Disney’s theme-park designers in Shanghai realized that coming up with puns is a particular challenge, since playful misspellings aren’t possible in a pictorial language.
Their solution was to rely on written Chinese characters that sound the same but have different meanings. Hunny Pot Spin, a Winnie the Pooh ride, is known here as Spinning Honey Pot, in which a Chinese character used in the word for “honey” is replaced by the one meaning “crazy” or “wild.”
“People look and they know it’s not a very rigid ride, it’s something playful,” says Imagineering assistant producer Chang Xu.
Opinions among the new park’s first visitors about the effectiveness of Chinese names were mixed. Zhang Anzhi, a Shanghai-born business consultant, said the Fantasyland area was “boring” because he was so unfamiliar with central characters like Alice in Wonderland.
Zhao Siyu, who is from Shanghai and attends the University of North Carolina at Chapel Hill, says she appreciated little touches such as tombstones in the Pirates of the Caribbean section written in ancient-style characters.
At last week’s grand opening, visitors seemed to care much more about getting on the most new popular rides than understanding how much effort went into the surrounding signs.
“I don’t have much memory about the translations because I spent most of the day waiting in line,” said Wang Mengmeng, 24 years old, from Jiangsu province just north of Shanghai.