Lingue a confronto: il cinese standard

La lingua cinese standard è il Mandarino ( Putonghua) sin dal 1913, ma in realtà esistono numerosi dialetti, perciò sarebbe più opportuno parlare di lingue cinesi.  Le lingue cinesi appartengono alla grande famiglia delle lingue sino-tibetane, i cui due raggruppamenti principali sono le lingue cinesi o sinitiche e le lingue tibeto-birmane.

I parlanti cinesi che vivono, lavorano o frequentano le nostre scuole, non necessariamente avranno una competenza linguistica legata alla lingua standard, cioè il Mandarino, anzi, è vero il contrario, cioè che molti di loro potrebbero non conoscerla affatto o comunque comunicano nei propri dialetti locali. Infatti, se teniamo conto del fatto che la maggior parte dei migranti cinesi nel nostro paese sono originari della provincia dello Zhèhiāng, la maggior parte di loro utilizzerà perciò il dialetto per comunicare all’interno della loro comunità. Ovviamente, questo non vale per coloro che hanno appreso la lingua cinese standard attraverso il proprio ordinamento scolastico di origine. Questa prospettiva ci pone davanti il problema della diversità linguistica all’interno della stessa lingua, benché si possano riscontrare dei tratti in comune tra i diversi dialetti.

Tornando alla caratteristica della lingua cinese, dobbiamo sin da subito sottolineare che si tratta di una lingua isolante, cioè non caratterizzata dalla flessione e priva di morfologia. Tutte le relazioni sintattiche della lingua cinese sono rappresentate dall’ordine di successione dei costituenti della frase e attraverso l’impiego di particelle grammaticali anziché tramite affissi e cambiamenti morfologici delle parole:
-       I nomi sono invarianti rispetto al genere e al numero: assenza di genere maschile, femminile, singolare e plurale;
-       Assenza di declinazioni, coniugazioni verbali, modi verbali, ecc.
-      I morfemi lessicali svolgono la funzione di morfemi grammaticali
Altre importanti caratteristiche sono:
-     La varietà tonale (ad una sillaba possono essere associati quattro diversi valori tonali);

-       É una lingua sillabica, con un povero repertorio fonologico;

La complessità della lingua cinese mette in luce le numerose difficoltà dell’apprendere il sistema fonologico dell’italiano da parte di apprendenti cinesi, i quali, è evidente,  hanno poca dimestichezza con combinazioni di consonanti e con strutture sillabiche articolate.

Inoltre, la loro lingua non possiede distinzioni di lunghezza e di sonorità, ma solo un’opposizione tra alcune consonanti occlusive aspirate e non aspirate. Le parti del discorso tendono a non essere distinte formalmente: una parola come il cinese 工作 gōngzuò può significare sia lavoro che lavorare, a seconda del contesto.
Inoltre, nelle lingue isolanti, l’ordine delle parole tende ad essere piuttosto rigido, in quanto svolge la funzione di identificare, tramite la posizione nella frase, i vari ruoli sintattici  - soggetto, oggetto, etc. -. Il riferimento alla cornice temporale emerge in larga parte grazie al lessico.

Nonostante la lingua cinese ed italiana abbiano entrambi l’ordine consueto all’interno dell’enunciato, di soggetto-  verbo - oggetto, il cinese costruisce i gruppi di parole  - o sintagmi - in maniera spesso  
contrapposta rispetto alla nostra lingua (Li & Thompson, 1981: 25-26):

他她在厨房里炒饭 - Tā zài chúfáng lǐ chǎo fàn


Letteralmente: Lui/lei in cucina dentro saltare riso

Traduzione: Prepara il riso in cucina
Il cinese, come è noto, viene reso grafematicamente con un sistema semasiografico, o comunemente detti ideogrammi, dove il segno grafico non veicola solo un suono, ma anche un significato. Ogni unità grafica o carattere cinese corrisponde ad una sillaba:
-       Un carattere o una sillaba può rappresentare una parola;

-       Due o più caratteri / sillabe possono rappresentare una parola;

-       Due o più caratteri / sillabe rappresentano una parola complessa, costituita da più morfemi.

Il primo studioso ad occuparsi del problema della scrittura cinese fu Xu Shen (58 d.C. – 147 d.C.), autore del primo dizionario cinese contenente l’analisi dei caratteri. Dopo aver analizzato e raggruppato tutti i caratteri in 6 categorie, Xu Shen codificò anche la tecnica per costruirne di nuovi.

Possiamo individuare 6 famiglie dei caratteri: pittogrammi, indicatori, ideogrammi, fonogrammi, deflettivi e prestati.

-       pittogrammi (immagini dell’oggetto; caratteri-immagine) rappresentano in forma stilizzata l’oggetto che intendono evocare.  rén = uomo;  zhòng = centro;  shān = montagna.

-       Gli indicatori (simboli indiretti) traducono in segni le idee astratte. Si possono formare aggiungendo a un pittogramma uno o più segni convenzionali.  sān = tre;  shàng = sopra/salire;  xià = sotto/scendere.

-       Gli ideogrammi (associativi, composti logici) sono il risultato della combinazione di due o più pittogrammi allo scopo di formare caratteri con un significato diverso.  rì = sole +  yuè = luna ->  míng = luminoso (sole+luna).

-       fonogrammi (determinativi fonetici, aggregati fonetici) costituiscono quasi il 90% dei caratteri esistenti. Si tratta di caratteri composti da due parti, di cui una portatrice di significato e l’altra determinante la pronuncia.  tā = lui;  tā = lei.

-       deflettivi (simboli a interpretazione reciproca) sono caratteri simili nel disegno, collegati nel significato, ma con pronuncia differente.  lǎo = anziano;  kǎo = esame.

-       prestati (caratteri fonetici in prestito) non hanno attinenza né col significato né con la funzione fonetica ma derivano solo dall’uso e sono spesso etimologicamente inspiegabili; il più delle volte si è trattato di un trasferimento di significato su un carattere omofono. /wàn = diecimila derivante da “scorpione”; 西 xī  = occidente derivante da “uccello nel nido”;  / lái = venire derivante da “cereale”.

Il sistema del verbo cinese si basa su un’unica forma priva di distinzioni di numero, persona, tempo e modo: la collocazione temporale dell’evento viene affidata molto spesso ad elementi lessicali - nomi o avverbi -.
Queste differenze linguistiche mettono alla luce come sia difficile per gli apprendenti cinesi imparare una seconda lingua straniera, in quanto già le prime differenze evidenti sono quelle legate all’assenza di alcune componenti sintattiche e lessicali, oltre che alla diversa organizzazione dell’enunciato, caratteristiche che spesso diamo per scontato anche all’interno nelle nostre istituzioni scolastiche in classi con apprendenti cinesi.

Per quanto riguarda il livello delle traduzioni inoltre, è evidente che il lavoro del traduttore è piuttosto arduo e occorre avere una conoscenza approfondita della lingua e della cultura di destinazione, cercando di interpretare il senso della frase a partire dal contesto di attuazione,  prestando attenzione alla fedeltà  dei canoni di riferimento, allo stile, alla morfologia, al lessico e all’intera organizzazione del discorso.


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Dott.ssa Giovanna Bondanese, laurea in Lingue e Letterature Straniere, laurea magistrale in Traduzione Specialistica, laurea specialistica in Scienze della Mediazione Interculturale. Insegnante di lingua inglese, francese ed italiano per stranieri. Traduttrice, mediatrice interculturale.