“Ke” al posto di “che”? «Lo usavano già nel Medioevo»

Lo rivela l'Accademia della Crusca, che proprio oggi compie 430 anni.


Il 25 marzo 1585 nasceva ufficialmente l’Accademia della Crusca. La più antica istituzione linguistica del mondo compie 430 anni e, nonostante la propria missione sia quella di “mantenere pura” la lingua italiana, l’accademia si tiene decisamente al passo con i tempi. Perché “puro” non vuol dire “desueto”: per questo tra le discussioni e le questioni affrontate dai linguisti della Crusca ci sono anche parole e neologismi decisamente moderni, entrati nel linguaggio corrente grazie all’avvento delle nuove tecnologie. Un esempio su tutti? L’uso  - o meglio l’abuso – della K: un’abitudine nata con la diffusione degli sms, per risparmiare tempo e spazio, e che poi ha colonizzato gli stili di scrittura di un’intera generazione.

ACCADEMIA DELLA KRUSCA -

Invece che rabbrividire al pensiero di un “ke” scritto al posto di “che” gli accademici della Crusca approfondiscono, spiegano, argomentano. Fino ad arrivare alla conclusione che quel “ke” non è frutto dell’economia di caratteri ma era usato comunemente dai nostri antenati medievali:
Nelle prime testimonianze di volgare italiano si possono trovare scelte diverse: per la occlusiva velare sorda (casa, coda) si impiegarono k, qu, ch. Queste pratiche di scrittura sono documentate sin dalle origini: nel noto Placito di Capua (960) si legge “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene”, dove tra l’altro si susseguono que (da leggersi ‘che’, scritto imitando il modello latino) e ki per indicare lo stesso suono iniziale.

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